Fabio Trenti e il Mistero dello Yogurt Scomparso

Cercando di fare un po’ di ordine con i miei testi mi sono accorto che su questo sito non avevo un riferimento a quest’opera – assolutamente non in commercio, perché scritta per il mio amico Fabio Trenti e piena di riferimenti ad altri amici e colleghi – ma che in qualche modo è stato il mio primo romanzo “completo”. Un romanzo breve (si parla di un 80mila battute, poco più di centinaio di pagine) ma comunque un romanzo, dopo avere iniziato mille cose e, fino ad allora, portato a termine solo racconti o racconti lunghi.

Si parla di un’opera noir (il protagonista è un investigatore privato – senza un soldo – con il pallino della scrittura), dai toni comedy e che richiama in modo ironico pure temi alla Dan Brown. Una cosa curiosa: ha avuto una genesi decisamente rapida. Se fossi in grado di scrivere almeno la prima stesura a quella velocità normalmente sarei decisamente contento ma solo questo testo e Natale per Caso hanno visto un numero di pagine al giorno così alto.

Tenendo conto del numero ridottissimo di lettori – il libro è stato stampato e passato a meno di una decina di persone – difficile sapere se c’è un valore o meno in quest’opera. A me è comunque piaciuto scriverlo e lo rileggo di tanto in tanto più che volentieri. Ma è chiaro che il MIO giudizio a riguardo non ha molto valore :-)

In the evening

Questo mio racconto è stato pubblicato la prima volta su KULT Underground (che allora secondo me veniva ancora distribuito su floppy) il 25 di novembre del 1995. Mi ricordo un po’ del periodo in cui l’ho scritto – anni decisamente distanti – e mi ricordo che scrivere su KULT allora, quando c’era ancora una redazione, voleva dire anche avere la possibilità di fare due chiacchiere su quanto si pubblicava, e, su questo testo, rammento qualche scambio con il mio amico Gianluca Meassi (che non sento da secoli in effetti). A lui, questo testo, era piaciuto. E a me – che cercavo senza riuscirci davvero di replicare la forza espressiva di alcuni racconti di un tipo che avevo avuto modo di leggere su una fanzine cartacea di Torino, e che, probabilmente, avevo da poco visto al 7bis La Haine L’Odio – beh, anche a me sembrava buono. E mi sembra ok pure ora, a distanza di due vite. Chissa.

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Feria d’Arles – un piccolo punta-e-clicca in pixel art

(pagina Steam)

Relativamente breve (ma NON breve), poco costoso (in sconto ora è sotto i due euro), divertente, ben fatto e con una grafica e delle animazioni spettacolari – SE chiaramente siete amanti della pixel art – Feria d’Arles è una chicca che ci vede nei panni di Molly, una giovane decisamente intraprendente e impavida, decisa a diventare un grande toreador, partecipando a un importante torneo nella bella città di Arles, nel sud delle Francia.

Tutto è chiaramente MOLTO più complicato di come si aspetta la nostra protagonista, che dovrà girare per le strade di questa cittadina, cercando un modo di superare almeno tre ostacoli: è troppo bassa per fare il torero, non ha l’attrezzatura da torero, e, beh, è una donna – e le donne NON sono ammesse a questa competizione.

Nessuna di queste cose preoccupa troppo Molly, che determinata a perseguire il suo sogno, non avrà problemi a cercare tutte le scappatoie possibili per ottenere quello che desidera.

Il gioco, realizzato con AGS, ha una interfaccia minimale ma abbastanza classica, che renderà immediata l’interazione tra oggetti e elementi nelle scene. L’area di gioco non è enorme, ma anche qui sappiate che le cose con cui è possibile interagire, o le persone con cui è possibile dialogare, sono un buon numero – garantendo così molto di più di un’ora di gioco (io ne ho impiegate un paio per finirlo – e senza sbloccare tutti gli achievements proposti) – durante il quale vi sarà impossibile non ridere (o almeno sorridere) in vari punti, rimanendo anche a bocca aperta per lo stile e i dettagli.

Midnight Scenes: A Safe Place

(pagina Steam)

E’ praticamente impossibile, se siete appassionati di pixel-art, che non conosciate Octavi Navarro. Quindi è improbabile che non abbiate mai sentito parlare di Midnight Scenes – una serie di “episodi” di una Twilight Zone trasposta in brevi giochi punta-e-clicca – di cui lui è artefice insieme a Susanna Granell. L’idea dietro a questa iniziativa è davvero bella (e il piano di realizzare qualcosa di simile c’è – sì, intendo proprio, Birds are not Real, a cui purtroppo in quest’anno non sono riuscito a contribuire) e quasi tutti i giochi proposti sono di ottimo livello. E quel “quasi” non vuole dire che ce ne sono alcuni che sono brutti, ma solo che non tutti sono davvero dei giochi giochi. Il titolo di cui vi voglio parlare – A Safe Place – è uno di questi. La storia è molto bella, i dialoghi, i disegni e le animazioni lo sono altrettanto. Solo, la parte di interazione è davvero ridotta all’osso. Siamo ai livelli di una Visual Novel – genere che stimo meno ma verso il quale non ho problemi – più che di una avventura, pur semplice e limitata.

Di cosa si parla? Beh, il giovane protagonista, in un freddo inverno, non riesce più ad uscire dalla sua stanza. Vive con i genitori e la sorella, ha una amica speciale che abita vicino e con cui riesce a rimanere in contatto grazie al computer, ma la sua mente gli fa pensare che appena oltre la sua porta ci siano in agguato mostri pronti a ghermirlo. E questo è abbastanza per lui per vivere in una sola stanza, senza bagno, mangiando scatolame e quelle poche cose che la sua amica gli porta quando lui la ordina online, facendo in modo che lui possa recuperarla dalla finestra del primo piano.

La claustrofobia della situazione – e il vedere il mondo che va avanti intorno a lui – è resa davvero nel migliore dei modi, e la narrazione, fino al bel finale, tiene incollati allo schermo.

Se il fatto che le scelte di gioco siano minime non vi dispiace troppo, fateci tranquillamente un pensiero.

The Abandoned Planet

(pagina su Steam)

Avevo giocato alla demo di questa nuova avventura del gruppo dietro a Dexter Stardust : Adventures in Outer Space appena era stato rilasciato – e mi era piaciuto parecchio. Anche in questo caso l’ambientazione era sci-fi, ma la grafica, invece che a cartone animato, era low-res in pixel-art (cosa che apprezzo). Le meccaniche di gioco scelte era differenti dal primo gioco (non classico punta-e-clicca con personaggio che muovi nelle scene) ma un sistema a scene più o meno statiche, con movimenti direzioni on-screen. Qualcosa di più “vecchio” ancora come stile, ma funzionale, e perfetto per il gioco proposto (nonché davvero bello come colori e scene).

La demo non era cortissima, e dava già modo di scoprire che tipo di avventura avresti affrontato nel gioco completo: a causa di un problema, la tua micro astronave ti catapulta su un pianeta sconosciuto, e nell’atterraggio di fortuna si rompe rendendola inservibile. Il pianeta su cui arrivi ha una atmosfera respirabile e scopri, dopo pochissimo, che ha segni di civilizzazione: ci sono infatti statue e dispositivi, e trovi anche qualche resto umanoide. Fino ad arrivare a una vera e propria città.

Se non fosse per il fatto che la protagonista è da sola (o almeno, circa da sola), il paragone (almeno in certi momenti) con The Dig sarebbe ancora più netto, ma il punto è che la storia prende da una fantascienza classica, e le tante ambientazioni non possono che ricordare questo libro o quel film, in modo assolutamente gradevole. Il gioco, che, lo ammetto, con un po’ di aiutini ho terminato in poco più di cinque ore, merita davvero e sa lasciare a bocca aperta in più di un punto, anche per le tante scene in movimento, molte delle quali direi in rotoscope, e quindi molto cinematografiche.

Cosa non mi è piaciuto? Giusto il fatto che la narrazione è rallentata da tantissimi puzzle, che, anche se perfettamente in gioco, richiedono di segnarsi codici e sequenze, e di provare più volte alcune operazioni parecchio complicate. Tutto questo, che è ulteriormente reso difficile dal fatto che tutto è scritto in lingua aliena (numeri compresi), aiuta a calarsi in questo mondo abbandonato, ma non è troppo nelle mie corde.

Ho invece apprezzato davvero molto gli effetti sonori, la voce principale, e il finale, davvero molto da (buon) romanzo di fantascienza dell’epoca d’oro.

Se usare carta e penna (o il cellulare per scattare foto) mentre giocate non vi disturba troppo, e apprezzate le cose in pixel art, ve lo consiglio senza ulteriori riserve.

 

Kathy Rain 2: Soothsayer (demo)

demo su Steam

Dopo otto anni dall’uscita di Kathy Rain, a mio parere uno dei migliori giochi punta-e-clicca mai realizzati (almeno nella “nuova era”), ho avuto l’enorme piacere di scoprire che sta per arrivare un seguito, e ne ho potuto apprezzare un pezzetto, grazie a una breve demo pubblicata su Steam.

Kathy Rain, la protagonista, è passata da essere una ribelle studente di giornalismo (che nel primo gioco si trova ad affrontare un mistero nella sua nativa Conwell Springs, dove ritorna per la morte del nonno) a una ribelle investigatrice privata – a pochi giorni da uno sfratto se non riuscirà a raccimolare i soldi che le servono per non dormire per strada. E i soldi in questione potrebbero arrivare dalla taglia che il sindaco di Kassidy ha promesso a chi catturerà un fantomatico serial killer che, giorni prima, ha ucciso una notissima scrittrice locale.

La risoluzione è passata da 320×240 ad almeno il doppio. Ma già – tra il gioco originale

e il director’s cut forse c’era stato qualche ritocco.

La grafica aggiornata – con più animazioni e più effetti anche nelle scene di passaggio (con lei in moto, quando ci si sposta tra una location e l’altra) – è godibile, ma lo è molto di più il fatto che abbiano mantenuto la stessa voice actress e lo stesso tono del gioco precedente. Kathy Rain, per dare una idea a chi non ho giocato al primo gioco, qui è una sorta di Veronica Mars – lei contro il mondo, con un mistero da risolvere e relazioni da costruire. Tantissime descrizioni da leggere e, già in questa breve parte, tante interazioni tra inventario e scene E tra inventario, diario, scene e personaggi, con dialoghi da costuire usando diario e telefono.

Molto promettente e, per chi come me ha adorato il primo, un acquisto sicuro appena uscirà.

Writers’ Tools: Reedsy Studio

Il primo degli strumenti di cui vi voglio parlare è Reedsy Studio – la parte di scrittura di libri dentro al sito Reedsy che si occupa di scrittura creativa e pubblicazione a tutto tondo – fornendo (a pagamento) anche un market place dove richiedere supporto di professionisti di vario tipo. Ma se il resto è a pagamento, per accedere alla parte Studio serve un account, creabile senza pagare nulla, e avendo a disposizione uno spazio (illimitato?) per creare svariate opere.

Questa parte di creazione di libri è a mio parere molto buona – al netto che il servizio è SOLO online (quindi quanto scriviamo finisce SOLO su un loro server – punto Posizione – che però oltre al backup permette anche l’accesso allo storico delle modifiche e a un lavoro collaborativo) – perché fornisce un sistema di scrittura editoriale di livello 2 (un po’ di formattazione base), con alcuni begli strumenti di supporto per la Scrittura e almeno il minimo per la scrittura (sempre facendo riferimento alle definizioni usate nell’articolo precedente).

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Writers’ Tools – elementi considerati

Dato per scontato che si può scrivere un romanzo anche solo con un quaderno e una biro (o con una macchina da scrivere), ho intenzione di fare qualche post su alcuni strumenti di editing testuale che ho avuto modo di provare, e che reputo potenzialmente interessanti o utili per chi scrive romanzi o racconti (ma suppongo che valga anche per altro, se non davvero corto).

Prima di avventurarmi in questo piccolo esame, è il caso che faccia però presente quali sono gli aspetti che ho considerato nella scelta e nel giudizio.

  • che tipo di “posizione” voglio che il mio testo abbia nell’universo digitale
  • che tipo di struttura (editoriale) sto cercando per il mio testo
  • che tipo di supporto voglio per la scrittura – in senso generico
  • che tipo di supporto voglio per la scrittura – in senso specifico
  • che tipo di supporto voglio per l’eventuale parte di impaginazione / pubblicazione

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