
A circa due anni dal primo dei nuovi film su Sherlock Holmes (realizzati con l’ottima regia del di nuovo apprezzato ex-marito di Madonna, Guy Ritchie) ecco che sbanca i botteghini di Natale Gioco di ombre, godibilissimo film d’azione, ispirato molto alla lontana a L’ultima avventura by Arthur Conan Doyle. Robert Downey Junior e Jude Law, entrambi in ottima forma, si muovono in lungo e in largo in una Europa prossima alla guerra, cercando di fermare i piani del machiavellico Professor Moriarty (Jared Harris), aiutati dalla bella zingara Simza (interpretata dalla stessa attrice – Noomi Rapace – che ha reso indimenticabile la trilogia Millenium – almeno nella versione NON americana). Come nel primo film una nota speciale va alla fotografia (le ricostruzioni d’epoca di Londra e Parigi sono spettacolari) ma ancora di più rispetto alla prima prova il gradevole mix tra azione ironia e aspetti investigativi riesce a tenere alto il livello di attenzione dello spettatore, facendo scivolare via le più di due ore di narrazione visiva senza mai un momento sotto tono. Buoni gli effetti speciali, studiata la sceneggiatura, azzeccate le battute. Chiaro, qui abbiamo uno Sherlock Holmes che fa in qualche modo il verso (quasi) a Mission Impossible e le scene di combattimento (esaltate da sapienti momenti di movimento non lineare – in bullet time) magari non piaceranno agli amanti di versioni più classiche – ma contrariamente ad altre rielaborazioni (come ad esempio quella a Serial – prodotta dalla BBC – comunque di assoluto pregio) non possiamo neppure dire che siano state prese decisioni troppo estreme, che allontanino cioè questo Sherlock da quello originale al di là di quanto accettabile per un adattamento, moderno, di un classico senza tempo.
Soldi spesi bene, a mio personale parere, quelli per il biglietto del cinema per questo film, a patto ovviamente, che vi piaccia anche solo un po’ il genere, e che siate soliti (sul grande schermo) accettare qualcosa di apprezzabile, ma chiaramente d’intrattenimento.

Le serie soprannaturali inglesi hanno molto spesso una marcia in più per quello che riguarda l’atmosfera – e The Fades (nuova produzione della BBC – on air in questi giorni) non è sicuramente da meno. La fine dei giorni, sognata da due dei protagonisti, in cui tutti sono morti e dal cielo scende una cenere grigia che copre tutto, si accompagna benissimo con le ambientazioni da periferia inglese, con mostri antropomorfi e fantasmi, con un team di persone intente a combattere le forze che cercano di arrivare da “questa parte”, capitanate da un prete donna dai poteri soprannaturali.
Gli altri personaggi (da Mac (Posh Kenneth di Skins), lo strano amico di Paul, che parla per citazioni cinematografiche, o l’ex marito di Sarah) sono tutt’altro che comparse piatte, ma contribuiscono alla scena (ancora prima che alla trama) con una recitazione d’impatto, e con dialoghi perfetti e plausibili.
Anche in questo caso si parla delle consuete sei puntate (le serie in UK sono di norma “corte”) che garantiscono però una sequenza narrativa più serrata e poco o nulla lasciato al caso (o al gradimento del pubblico come, a volte, capita per quanto prodotto negli States).
Nota di colore: Posh Kenneth non è l’unico attore che era presente anche in Skins (Anna è interpretata da Lily Loveless, che in Skins faceva Naomi Campbell), ma forse l’attrice più nota è Natalie Dormer (qui nei panni di Sarah) che impersonava Anne Boleyn nei Tudors (e che vedremo l’anno prossimo nella seconda stagione di Games of Thrones)

Tra le novità più attese di quest’autunno c’è anche una nuova serie di J.J. Abrams e Jonathan Nolan – intitolata Person of Interest. Non è (purtroppo) un nuovo Lost, non è (purtroppo) Fringe, ma, ehi, non è neppure Undercover. Diciamo che è (o almeno sembra – dal primo episodio) piuttosto un Batman (senza costume) mischiato un po’ a Minority Report, XII e (giusto un briciolo) 24.
Il nostro James Caviezel (quello del remake di The Prisoner, che a me era piaciuto) interpreta Reese (un personaggio più tosto di Jack Bauer che però cerca di non ammazzare nessuno) che, dopo l’incontro non casuale con Mr. Finch (una versione ripulita di Benjamin Linus), accetta di provare a prevenire crimini ipotizzati da un software che gioca a fare il Grande Fratello.
Se la trama vi sembra “lenta” beh, sappiate che di azione invece ne troverete parecchia, e che il signor Reese spacca come Batman davvero, andandoci giù anche più peso.
Abbiamo di fronte qualcosa destinato a rimanere nel tempo? Chissà. Cosa hanno in mente gli sceneggiatori lo ignoro, ma la prima puntata colpisce nel segno e, tenendo conto di chi è dietro questa produzione, possiamo sperare che questo non sia che l’inizio di qualcosa ad alto concentrato di adrenalina e suspance.

E alla fine anche Supernatural è reiniziato – proseguendo dal momento esatto in cui si era interrotta la sesta stagione (non certo la migliore per i fratelli Winchester), ovvero dall’istante in un cui il nostro Castiel, ovvero l’angelo vestito da ispettore Colombo, si e proclamato Dio invitando Sam e Dean ad adorarlo, o in alternativa ad essere disintegrati.
Non voglio ovviamente svelare nulla della trama, ma diciamo che i colpi di scena non mancano in questa premiere. Non so se posso essere davvero soddisfatto di come le cose sembrano procedere – ma posso sicuramente essere molto contento di vedere di nuovo in azione gli acchiappa demoni piu rock di sempre :-)

Non sono un fan delle sit-com (alle quale di norma preferisco serial drammatici) ma mi capita di tanto in tanto di dare una occhiata a qualche nuova uscita, rimanendo a volte piuttosto colpito. In passato era accaduto, ad esempio, con Samantha Who?, e devo ammettere che qualcosa di divertente, anche tra le new entries di questo autunno, in effetti c’è.
Tra tutte ci tengo a segnalare Free Agents (in onda sulla NBC) – remake di una produzione british che non conoscevo – ironico, leggermente irriverente e brillante, all’interno del quale troviamo anche Anthony Head (l’osservatore di Buffy, e, più di recente Uther Pendragon in Merlin).
I personaggi principali sono due colleghi (Alex, interpretato da Hank Azaria, famoso anche come voce nei Simpsons, e Helen, ovvero Kathryn Hahn, nota tra l’altro per la sua presenza in Crossing Jordan) che finiscono a letto insieme dopo una notte di baldoria. Non ci sarebbe nulla di troppo strano in questo, se non fosse che Alex ha divorziato da poco e piange ogni volta che pensa a sua moglie e ai figli, e che Helen ha perso il suo fidanzato in un incidente, e ha la casa piena di sue gigantografie. Il rapporto con il resto del loro ufficio (che non sa della cosa, e cerca di aiutarli a gettarsi di nuovo nella mischia, sentimentalmente parlando) aggiunge poi contorno a questa base, facendo scorrere il primo episodio in modo davvero gradevole, strappando ben più di un sorriso.

Sarah Michelle Gellar (aka Buffy, the Slayer), ritorna protagonista in un nuovo serial TV da poco in onda su The CW intitolato Ringer. Contrariamente a quanto però è capitato alla seconda ammazzavampiri (Eliza Dushku) questo rientro in grande stile nel piccolo schermo non avviene con un ruolo prettamente d’azione (il notevole ma sfortunato Tru Calling, o il cmq accettabile Dollhouse hanno permesso alla Dushku di continuare a correre-saltare-e-spesso-anche-calciare per la maggior parte del tempo in scena) ma con una doppia parte in cui la tensione si sviluppa in modo molto differente. Read more »

Se vi è piaciuto Rubicon, se vi piacciono le spy story senza esplosioni, incredibili inseguimenti in macchina o spie che sembrano supereroi (solo senza maschera), valutate di dare una occhiata a questa produzione BBC: Page Eight.
Intrigo attuale, ambientato in Inghilterra, in cui un’ottimo Bill Nighy (che interpreta Johnny Worricker, dipendente di lunga data dell’MI5) si ritrova, dopo l’inattesa morte del suo capo (carissimo amico e quasi “parente” – tenendo conto che ha sposato la sua ex moglie) in una complessa situazione che incrocia politica e lotta al terrorismo. Come se questo non bastasse l’incontro con Nancy Pierpan (bella attivista che abita nell’appartamento di fronte al suo) saprà aggiungere quel pizzico di pepe che ancora mancava alla trama.
Solo un paio di scene in più del necessario (superflue e forzate) riescono a far calare di qualche punto un giudizio per il resto assolutamente positivo a questa bella pellicola che speriamo di potere presto gustare anche in italiano.

Il protagonista di questo ultimo film di Neil Burger si chiama Eddie Morra, ha un contratto per il suo primo romanzo e non riesce a scrivere una sola parola. Come abbia poi fatto ad avere un contratto, e un anticipo, per il suo primo romanzo – ancora da scrivere completamente – questo non è dato saperlo. Ma non è certo questo il punto fondamentale di Limitless.
Perché l’elemento cardine di questo film (basato sul romanzo Territori Oscuri, di Alan Glynn) è in realtà una nootropic drug, chiamata NZT-48, in grado di aumentare a dismisura le capacità analitiche e di memoria di chi la assume. In grado di aiutare il nostro Eddie a scrivere la sua opera prima in meno di una settimana, creando un capolavoro. In grado di fargli imparare l’italiano o il francese in poco tempo, e di diventare un esperto di borsa, conteso dai più grandi del settore. nel giro di settimane. Certo, non è tutto oro quello che luccica, e certe cose, in qualche modo, alla fine non si rischia poi di pagarle caro, da più di un punto di vista.
Un bello spunto, con una buona regia e attori interessanti (abbiamo pure De Niro, in una parte importante anche se non enorme), che sembra fondere tante altre cose insieme, ma che, a mio parere, delude nel finale.
Da vedere, se siete comunque curiosi, non prima di aver letto dell’esperimento di Wired.it condotto grazie alla disponibilità dell’ottimo Gianluca Morozzi: http://mag.wired.it/rivista/storie/smart-drug.html

No, qui la programmazione non c’entra quasi nulla. Il bel film di quest’anno di Duncan Jones, figlio di David Bowie, chiama infatti “Source Code” non un bel listato C/C++ ma un macchinario in grado di “spedire” la mente di una persona all’interno del corpo di un altro, per otto specifici minuti. Non un controllo mentale, ma un inserimento in un universo alternativo, quantico, in cui è possibile quindi vivere più volte, una dopo l’altra, una singola esperienza, ad esempio per studiarla. So che suona complicato, ma sì è visto qualcosa del genere un Timeline, se non erro. Quello che sembra un viaggio nel tempo (nel passato) viene giustificato come un salto in un’altra realtà. Con il vantaggio che i cambi effettuati non influenzano il futuro da cui si proviene (almeno in Source Code). Ottimo se, ad esempio, si sta cercando di prevenire un disastroso attacco terroristico, frugando negli ultimi minuti di vita di qualcuno, perché, come siamo abituati a fare sempre nei videogiochi, si può sommare all’intuito la possibilità di provare strade differenti fintanto che non abbiamo raggiunto il nostro scopo.
Bella l’idea di fondo, molto adatti gli attori (soprattutto la splendida Michelle Monaghan, già vista ad esempio in Mission Impossible III), buono il ritmo, e interessante il finale. Al di là di qualche considerazione sulla congruenza di tutti gli aspetti della trama qui abbiamo davvero un film di fantascienza fruibile e ben organizzato. Non sarà “L’esercito delle 12 scimmie” (comunque forse meno “semplice” da seguire per i non amanti del genere), ma è sicuramnte qualche cosa da tenere presente se si sta cercando un titolo per un noleggio.
Due sole note extra: ricorda (solo come modus operandi, non come aspetto tecnico) lo splendido Day Break (serial TV purtroppo cancellato dopo la prima serie) e, beh, qui Jake Gyllenhaal assomiglia più di un po’ (come aspetto) a Jack Shepard (alias Matthew Fox) di Lost.

Lo stesso regista degli acclamati 300 e Watchmen, tale Zack Snyder, ha di recente portato sul grande schermo un altro progetto dal grosso potenziale visivo: Sucker Punch, una fiaba nera e onirica, quasi tutta al femminile, ambientata per la maggior parte nella mente di una ragazza imprigionata dal padre in un ospedale psichiatrico. “Distrutta” dalla critica, e non premiata dal pubblico, questa produzione ricorda per tantissimi aspetti un videogioco. Non solo per le scene ispirate esplicitamente da Tekken, Wolfestein e Final Fantasy, ma anche per la struttura a missioni della storia stessa – una avventura in senso stretto, con oggetti da raccogliere prima di potere procedere. Un esperimento, a mio parere, interessante, che, solo, promette nel trailer di più di quello che alla fine riesce a trasmettere, e che lascia nell’aria quella sensazione di incompiuto che mal si addice al costo di realizzazione di un’opera così complessa.