Category: TV&Movies

Vittima Degli Eventi

Vittima degli eventi
E poi un pomeriggio mi trovo a guardare un mediometraggio (un film di una cinquantina di minuti), italiano, no profit, basato su uno dei miei (tanti) fumetti preferiti, realizzato tramite crowfunding (IndieGogo), intitolato Vittima Degli Eventi, e mentre lo guardo continuo a pensare che “ma, insomma, però“, che “beh“, che “uh“, e alla fine, mentre cerco di vedere se c’è qualche altro nome che conosco (a parte ovviamente quello di Haber e di una Vukotic in piena forma), continuo a pensare che (pur con la mente piena di dubbi e distinguo) Claudio Di Biagio e Luca Vecchi hanno fatto davvero un bel lavoro, che, cavolo, a me, pur con tutti i se e i ma del mondo, è piaciuto parecchio di più di quello del 2011 di Kevin Munroe. Il Dylan Dog di questo film (Valerio Di Benedetto) magari non mi è sembrato proprio in linea in tutto e per tutto con quello della Bonelli (e la voce di Groucho Marx – alias Luca Vecchi – magari me l’aspettavo diversa – tenendo conto di quanto invece è azzeccato il personaggio) ma, insomma, i richiami con l’originale sono davvero tantissimi, e, cioè, non giriamoci intorno, questo film ha pure una bella storia (o almeno un bell’inizio e una bella fine), e ha effetti speciali più che godibili e l’ambientazione romana (e non londinese) non riduce di nulla (anzi) la plausibilità del tutto.
Ho letto qua e là recensioni e vedo che spaziano tra il bruttino e il molto bello. Io, con ammetto anche una dose enorme di invidia, propendo per il molto bello. E lo consiglio davvero a tutti. So che qualche scena farà storcere il naso un po’ – e magari per qualcuno, quella singola scena, o quello scambio forse un po’ più debole di battute, basterà per segnare in rosso un voto non sopra il sei a quest’opera – ma sono convinto non solo che ogni eventuale debolezza non sia affatto critica (e che tra l’altro non ne sono esenti anche film con budget maggiori e distribuzione internazionale) ma che ci si possa davvero sentire orgogliosi che un prodotto del genere sia stato realizzato in Italia, da italiani, su un fumetto italiano – tramite crowfunding.

Tanto di cappello agli autori e a tutta la produzione.

Penny Dreadful

Penny Dreadful [Showtime]
Prodotto da Showtime (e iniziato ormai da più di un mese) Penny Dreadful, che deve il suo nome a un tipo di letteratura “vivida” comune in Inghilterra nel 19esimo secolo, è una delle serie TV più interessanti e ben fatte che mi è capitato di vedere nell’ultimo periodo. Recitazione, fotografia, sceneggiatura e soggetto, tutto è di alto livello, e cattura all’istante, per trasportare lo spettatore in una Londra da Jack lo squartatore dove, nell’ombra e nella nebbia, si muovono creature di tutti i tipi – un qualche tipo di vampiri in primis.
Un non così riconoscibile Timothy Dalton, alla ricerca della figlia scomparsa, farà da perno per le vicende di un gruppo molto eterogeno di personaggi, all’interno del quale domina, come presenza scenica e forza espressiva, Vanessa Ives (Eva Green, che avevo già adorato in Camelot), seguita a ruota da uno straordinario Victor Frankestein (interpretato dall’inglese Harry Treadaway). Ma tutti gli attori – anche minori – sono perfetti, e l’atmosfera che si respira in scena è quella di un horror di altri tempi – un horror letterario – ben miscelato con il gusto più moderno per il ritmo dell’azione, e arricchito da effetti speciali adeguati alle esigenze.
Qualcosa di davvero buono (creato dal John Logan dietro alla sceneggiatura di capolavori come Skyfall, Hugo e The Aviator) che confido arrivi presto anche in Italia.

Believe

Believe

Tra le tante cose nuove che hanno iniziato la loro programmazione in quest’ultimo periodo ce n’è una che mi ha colpito per la sua somiglianza a una produzione terminata lo scorso anno, ovvero Touch. Non si può certo dire che Believe (creata per l’NBC dalla coppia Alfonso Cuarón and Markus Friedman) sia un clone della serie in cui recitava Kiefer Sutherland – e qui non si vede la mano di Tim Kring (che ho conosciuto in precedenza per Heroes) – ma i punti di contatto sono davvero molti: il protagonista è una ragazzina, in fuga con il padre, perché qualcuno (una entità corporativa) vuole abusare delle sue capacità supernaturali (non soprannaturali – il potere deriva da un gene). E mentre il duo si muove da un punto all’altro, i poteri della protagonista permettono di risolvere situazione palesemente in mano al fato (persone che si sono perse di vista, altre che hanno bisogno di soldi o di una iniezione di fiducia per proseguire al meglio la loro vita).

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Almost Human

Almost Human
Se siete, come me, appassionati di fantascienza, un piccolo consiglio: non perdetevi Almost Human. Questa nuova produzione FOX, che ne ha iniziata la programmazione una decina di giorni fa, ha anche J.J. Abramas tra i produttori esecutivi, e miscela elementi presi da RoboCop, Fringe e da I Robot, proponendo allo spettatore un crime drama originale e molto godibile, anche solo per i personaggi messi in scena. La parte SciFi – dominante, ma non necessariamente invadente – ci porta in un futuro non troppo distante, in cui la polizia si serve anche di robot per combattere una criminalità che non esita ad usare i ritrovati della tecnologia per raggiungere i propri scopi. Il protagonista principale, John Kennex (impersonato da Karl Urban – il McCoy del nuovo Star Trek) si risveglia dopo più di un anno di coma (è stato ferito gravemente in una imboscata, in cui è morta tutta la sua squadra, e ha perso una gamba) e ha qualche problema a fidarsi dei Sintetici con cui, come poliziotto, deve lavorare. Ma questo atteggiamento ostile cambierà quando gli verrà assegnato un “modello vecchio”, Dorian (Michael Early, indimenticato protagonista di Sleeper Cell) – spesso più sensibile di lui nei rapporti con gli altri. Come in Castle, Mentalist o simili, il rapporto tra i personaggi arricchisce lo sviluppo della trama e smussa gli aspetti più tecnici dell’ambientazione, rendendo (almeno secondo me) godibile Almost Human anche per chi di norma non “mastica” fantascienza. Non siamo (almeno non sembra) davanti ad un nuovo Fringe (né, di sicuro, di fronte al nuovo Lost), ma i primi due episodi trasmessi fanno ben sperare per una serie con parecchi temi interessanti, e una ottima capacità di evoluzione per i protagonisti.

Atlantis

Atlantis
Se vi è piaciuto Merlin, e non disdegnate i telefilm necessariamente poco impegnati, sappiate che BBC One ha proposto qualche giorno fa la premiere di Atlantis, nuova serie fantastica sulla falsariga di tante altre viste in passato. La gang del protagonista (Jason – interpretato da Jack Donnelly) è composta da Pitagora (!) e da un imbolsito e fanfarone Ercole – che potete vedere nel fotogramma qui sopra – e questo già dovrebbe darvi il tono della situazione. Ma aggiunge  un gradevole retrogusto il fatto che non siamo nell’antica Grecia – ma ad Atlantide (“quella della città perduta di Atlantide?” chiede lo stesso Jason appena arrivato…) dove gli sceneggiatori non devono farsi scrupoli a miscelare elementi mitologici presi da storie diverse. Che dire? Il punto è più o meno il solito: bello, se vi piace il genere. Da guardare, assolutamente, ma solo con quella precondizione.

+1

+1
Pur promettendo (nel trailer) più di quello che alla fine offre, +1, del registra greco Dannis Iliadis, rimane un film interessante e godibile. E propone una variante del time loop piuttosto originale. La storia è comunque questa: tre studenti decidono di andare al super party organizzato da un ragazzo che non sembra proprio avere problemi di soldi – ognuno portandosi dietro inevitabilmente un qualche piccolo problema personale (una rottura sentimentale, il desiderio di fare sesso, la difficoltà a relazionarsi con gli altri). Ma durante la festa qualcosa accade – qualcosa di fantascientifico come può esserlo proprio un meteorite che cade – e all’improvviso la realtà sembra sdoppiarsi, facendo apparire doppioni di tutte le persone presenti, nella posizione (e con la memoria) degli originali, in un luogo in cui questi erano in precedenza. Sì, dal trailer ricorda l’ottimo Triangle, ma gli sviluppi e le premesse sono completamente diverse. No, non è un capolavoro (ed è smaccatamente teen come ambientazione), ma se vi capita vi consiglio comunque di dargli una chance. Ah, molte facce note in questa produzione – e tra queste c’è anche Natalie Hall (vista in Pretty Little Liars, ma qui in qualche scena ammiccante).

Ah, se vi capita di vederlo, fatemi sapere cosa ne pensate del comportamento finale del protagonista (a mio parere parecchio disdicevole – ma potrei non avere colto qualche metafora sulla situazione complessiva).

Sleepy Hollow

Sleepy Hollow
Realizzato da Fox, Sleepy Hollow è un nuovo serial di genere fantastico andato in onda per la prima volta giusto qualche giorno fa. Basato (ma questo termine in questi casi ha un significato molto largo) sul racconto omonimo di Irving, non assomiglia comunque per niente al film di Tim Burton, proponendosi, a mio parere in modo convincente, più come un moderno telefilm soprannaturale che come una espansione dell’ambientazione originale.

Il protagonista, Ichabod Crane, ferito presumibilmente a morte nel 1781, dopo avere decapitato un cavaliere che non sembrava potere essere fermato con le pallottole, si risveglia ai giorni nostri, dove, con l’aiuto di una giovane poliziotta di colore (e gli appunti di un collega più anziano, che faceva ricerche in segreto sugli strani avvenimenti della zona da sempre), dovrà impedire niente di meno che l’apocalisse. Demoni, streghe, maledizioni, eroi e prescelti, incastrati in una lotta tra il bene e il male, questo è più o meno quello che promette di offrirci Sleepy Hollow.

Bello il gioco del militare americano del diciottesimo secolo che si trova ad affrontare (oltre che una lotta impari con forze sovrannaturali) anche le peculiarità del presente, meno riusciti, forse, in questa prima puntata, alcuni dialoghi e qualche scena. Anche i personaggi non mi sono sembrati tutti nella parte: ottimi i principali, che hanno carisma e attori nel ruolo, mentre alcuni dei secondari mi sono sembrati meno convincenti.

In ogni caso, se amate il genere, è sicuramente qualcosa che mi sento di consigliare, e che seguirò con aspettative e curiosità.

Mickey Matson and the Copperhead Conspiracy

Mickey Matson

Uscito lo scorso anno (direi solo per il mercato americano) Mickey Matson and the Copperhead Conspiracy è un godibile film per ragazzi che ha, per più di un aspetto, richiami con I Goonies. Il protagonista è infatti un ragazzo di provincia che nessuno prende sul serio, con i genitori in procinto di perdere la loro abitazione a causa dei debiti, i cattivi sono composti da tre figuri, due praticamente macchiette (divertenti macchiette, ma macchiette) e il cervello del gruppo, c’è di mezzo una mappa e degli indizi da seguire. Qui però invece del variegato gruppo di adolescenti del capolavoro di Richard Donner, abbiamo solo una coppia di ragazzini (Mickey e “io sono di Chicago” Sully), aiutati in più punti da adulti a trovare quanto il defunto nonno di Mickey ha nascosto: tre oggetti mistici, in grado di realizzare un prodigio alchemico, ovvero trasformare qualunque cosa in argento. Una bella avventura, canonica e quindi piena anche di colpi di scena e di cattivi urlanti, che regge benissimo anche per cast e per ambientazioni, e che aggiunge qualcosa alla storia (legata alla Guerra Civile americana) grazie alla presenza di Christopher Lloyd (aka Emmett “Doc” Brown di Ritorno al futuro) nel ruolo di nonno Jack.

The Karate Kid (2010)

The Karate Kid (2010)

Ambientato a Beijing, con un protagonista dodicenne di colore, e con il Kung Fu al posto del Karate, questo reboot della serie Karate Kid (per chi non lo sapesse, film del 1984 con Ralph Macchio e Noriyuki “Pat” Morita) è assolutamente gradevole e ben fatto. Forse molto dipende dalla bravura e dall’innata simpatia dei protagonisti (Dre Parker / Jaden Smith ha una faccia da cucciolo bastonato quasi tutto il film e Mr. HanJackie Chan, ovvero l’insegnante di Kung Fu, è, come sempre, fenomenale) o dalle splendide ambientazioni (Dre si allena anche sulla muraglia cinese, e ci sono riprese della Città Proibita), o da piccole modifiche nella trama che rendono il film più scorrevole e divertente, ma in ogni caso questa pellicola riesce a riproporre le tematiche del piccolo capolavoro degli anni ottanta, attualizzandole senza snaturarle. Siamo davanti ad un prodotto pensato chiaramente per i ragazzi (era comunque così anche l’originale) che però mi sento di consigliare anche ai più grandi, se apprezzano il genere o se hanno voglia di rifare un tuffo nel passato senza davvero rivedere qualcosa di già visto. Avere già visto la versione del 1984 comunque sarà un valore aggiunto, perché permetterà di gustare qualche ammiccamento della regia (come la scena della mosca, o il “togli la giacca” / “metti la giacca”, al posto di “metti la cera” / “togli la cera”).

Ah, la mamma del piccolo Dre è Taraji P. Henson, ovvero la poliziotta co-protagonista di Person of Interest.

Moon

Moon

Uscito quattro anni prima di Oblivion, e costato duecento volte meno (“solo” 5 milioni di dollari), Moon (scritto e diretto da Duncan Jones) è un buon film di fantascienza, che omaggia in modo evidente i classici del genere (in primis 2001 – Odissea nello spazio). Con quasi un solo attore – Sam Rockwell – e un robot (che esprime emozioni più o meno tramite emoticons) Moon propone una storia consistente, e con un crescendo di ottimo livello, che non vuole (e di conseguenza non riesce) a essere mainstream. Se avete visto Oblivion, parecchio della trama vi sarà chiaro anzitempo (ma quello NON è chiaro un difetto del film…), ma anche senza il confronto con Tom Cruise e con gli effetti del film basato sulla graphic novel di Kosinski, il ritmo lento e claustrofobico di Moon, costruito intorno alle emozioni espresse dal viso un po’ folle di Sam Bell/Sam Rockwell limitano (a mio parere) il pubblico di questa perla ai soli appassionati del genere. Non necessariamente una cosa negativa, perché, consapevoli di questo, la regia e la produzione non hanno lesinato in richiami e in situazioni che (per i fan) sono tutt’altro che disprezzabili (le lucine colorate al posto di visori con un qualunque tipo di senso sono solo uno degli aspetti che non riuscirete a non notare). Ammetto, tra le poche cose realizzate fino ad ora da Duncan Jones, di avergli preferito Source Code – anche se l’operazione dietro a Moon (simile in qualche modo a quella di J.J. Abrams – che è riuscito a realizzare oggi un film anni 80 – realizzata però con budget da produzione indipendente) è assolutamente da applaudire.

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