Category: Fumetti

Ex Machina – Cento di questi strani giorni

Se vi piacciono i fumetti con i supereroi e avete voglia di leggere qualcosa di alternativo vi consiglio di dare una occhiata alla serie Ex Machina (del duo Brian K. Vaughan e Tony Harris). Ho avuto in regalo il primo volume (Cento di questi strani giorni) e devo ammettere che l’ho apprezzato ancora di più di quello che mi aspettavo. Perché, ok, per quanto ritenga intrigante l’idea dell’ingegnere Mitchell Hundred che diventa improvvisamente in grado di dialogare con le macchine (non “solo” con le auto intendo, ma con tutti i dispositivi automatici anche solo meccanici), e apprezzabile vedere come il suo diventare un eroe mascherato sia un (bel) lavoro di un team tutto da seguire, non credo sia in questi aspetti che riesiedono i veri punti di forza dell’opera. Che procede con un ritmo altalenante, continuamente inframezzato da flashback, ricamando una bella storia politica, mischiando personaggi molto sfaccettati e reali in un background che riesce ad essere epico, “filmico”, senza (almeno nel primo volume) trascendere, senza eccessi. Così da potere iniziare a conoscere e apprezzare questo mondo alternativo (in cui una delle due torri di NY è ancora in piedi, salvata dal nostro Grande Macchina – nome scelto da Mitchell per la sua attività extra) cogliendo le sfumature (le tensioni politiche, sociali e culturali) mentre la carriera del neo-sindaco con i superpoteri (che deve rinnegare) inizia a procedere, tra le difficoltà inevitabili in una città come la Grande Mela.

Molto bello e curato l’aspetto grafico, belli i dialoghi. Un bel regalo da ricevere e, nel caso, da fare ad altri appassionati :-)

Dylan Dog: Dead of Night

 

Se vi aspettate l’ennesima recensione negativa e piccata del film di Kevin Munroe (sì, lo stesso di TMNT), potete cercare oltre. Da lettore di Dylan Dog (al quale cmq io preferisco Martin Mystere) comprendo chiaramente chi ha detto che questa pellicola non rende giustizia al personaggio di Tiziano Sclavi, ma il mio gradimento per la rappresentazione sul grande schermo di una icona italiana mi fa cmq superare le tante scelte di regia, diciamo, “discutibili”. E questo perché, imho, si parla comunque di un film con una trama migliore di tante altre prime trasposizioni, e pure con dei begli effetti speciali, perché la spalla di Dylan (non potendo essere Groucho) è un neo-non morto e, ancora, perché New Orleans (anche se sottorappresentata), dai, non è davvero una brutta scelta per Dylan, non volendo usare Londra per questo o quel motivo.

Che dire? Non ci troviamo davvero in un album Bonelli (ma anche Dellamorte Dellamore non era Dylan Dog, se non per l’aspetto del protagonista, anche se, beh, certo lì nessuno diceva però che lo fosse) e i tanti richiami a Buffy o a True Blood o ad altri serial magari possono non piacere a tutti, ma vi sfido a dire che alcune trovare non sono comunque apprezzabili e, con un po’ di elasticità, anche un po’ in linea con il personaggio. E se questa prima prova dovesse portare davvero ad un seguito, a Londra, con qualcosa di più consono, credo che anche i più critici non potranno (forse) che rivalutare un poco questa prima apparizione dell’investigatore dell’incubo sul grande schermo. Chiaro, meglio ancora sarebbe se la BBC decidesse di farne una miniserie… o se questa scelta (in un universo alternativo) la potesse fare la nostra RAI…

Paperino Paperotto e il grande sonno

Le storie relative al “reboot” Disney – che coinvolgono Paolino Paperino quando, da bambino, viveva con Nonna Papera – sono normalmente tutte molto belle. L’atmosfera americana anni 40-50, il rapporto dei piccoli nei confronti dei grandi, la possibilità di sperimentare e la sensazione di “già vissuto” che si ha grazie a tanti piccoli particolari, consentono a queste storie di proporre qualcosa di estremamente originale, senza tradire (troppo) il background nel quale si muovono.

E l’ultima uscita che riguarda Paperino Paperotto (“Paperino Paperotto e il grande sonno” – testo di Bruno Enna con disegni di Francesco D’Ippolito) – a puntate in queste settimane su Topolino – davvero merita almeno una piccola segnalazione – non fosse altro che per l’enorme tributo alla SciFi più classica che fornisce. Robot, Formiche Giganti, Man in Black con enormi fucili, oltre alla presenza dell’alter ego di un maestro di genere, fanno da contorno ad una piacevole avventura nella quale è davvero facile calarsi.

Atomic Robo e l’ombra dal tempo ignoto

Atomic Robo e l’ombra dal tempo ignoto

La serie siglata Clevinger / Wegener aveva già dimostrato con le prime due uscite di essere in grado di sopportare il difficoltoso confronto con HellBoy, ma è con questo terzo volume (Atomic Robo: Shadow from Beyond Time) che raggiunge un livello di qualità davvero da primato. Sarà che tra le guest star di questo episodio c’è pure uno stralunato H.P. Lovecraft, sarà che è lovecraftiano il mostro che si muove al di là del tempo e dello spazio, sarà che le battute e le situazioni sono divertenti e brillanti, ma questo è un volumetto da leggere e rileggere più volte. Per godere dello sviluppo sci-fi della storia (per nulla banale), per sogghignare alle spacconerie del robot di Tesla in lotta con uno degli orrori del maestro di Providence e, non ultimo, per notare la cura delle tavole, e l’ottima fattura dell’oggetto in sè (per materiali e per brillantezza dei colori).

Quacklight – Vampiri fascinosi a Paperopoli

Quacklight

Quacklight

Leggo Topolino da sempre, e sono un abbonato da un discreto numero di anni (più o meno da quando questo giornalino ho iniziato a comprare io, al posto dei miei genitori…) e non di rado capita che qualche storia sia particolarmente sopra le altre come qualità, oppure che, al di là di ogni considerazione di “merito”, semplicemente mi colpisca, parecchio, per qualche motivo.

E, yes, nel numero 2849, il “pezzo” d’apertura (“Quacklight – Vampiri fascinosi a Paperopoli” – del duo Roberto Gagnor e Giorgio Cavazzano) beh, è semplicemente imperdibile. Una parodia brillante e “spietata”, un capolavoro, godibile direi anche per chi non ha letto la saga di Stephanie Meyer e non ha visto i film, a patto di avere amici o conoscenti chiacchieroni che invece l’hanno fatto.

Shutter Island – Ascari + Riccadonna

Shutter Island

Alla fine, dopo un caotico ritardo, sono riuscito anche io a comprarne una copia e a gustarmelo, dalla prima all’ultima pagina. Prima l’attesa del film di Scorsese, con la “scusa” di non volermi rovinare il finale, poi l’esitazione alla Feltrinelli, per questo o quel motivo. Per poi preferire IBS – come store – per potere, finalmente, avere questa seconda opera di Ascari (qui con sceneggiatura e lettering) / Riccadonna da aggiungere alla mia mini-libreria di fumetti & Graphic Novel.
Che dire? La storia di Dennis Lehane (uscita in Italia con il titolo “L’isola della paura“) è un capolavoro, e questa (per me) seconda trasposizione ne esalta vari aspetti, in modo diverso rispetto al film. Forse qui è la vicenda che fa da padrona, rispetto all’interiorità dei protagonisti, ma le tavole e i dialoghi riportano e richiamano sensazioni e claustrofobia. Concedendo molto, sotto l’aspetto visivo, soprattutto nei momenti onirici che qui mi sono sembrati potenti ed emozionanti, e aggregando, in poche frasi, complessi passaggi mentali, che sono poi lo scheletro forte di questa vicenda.

Se avete amato David, sappiate che qui ritroverete assonanze visuali con parte di quei personaggi, ma che il contesto e le scelte stilistiche sono abbastanza diverse da ridurre questa caratteristica giusto ad un breve Deja Vu. Certo è che, qui, non c’è Di Caprio e che, per forza di cose, il fatto di avere condensato una storia così complessa in (relativamente) poche tavole, pur celebrando la capacità (non certo in dubbio) dello sceneggiatore, vi potrà lasciare con una riflessione aperta sull’impatto diverso che possono avere i vari media.

Ma se accettate il mezzo, sappiate che poco si perde dell’opera originale in quanto le edizioni BD hanno pubblicato. Il taglio, dicevo, non è quello del film, e questa esperienza sarà quindi un di più, un inoltre, non solo un anche. Tanto di cappello, davvero, agli autori.

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