In the evening

Questo mio racconto è stato pubblicato la prima volta su KULT Underground (che allora secondo me veniva ancora distribuito su floppy) il 25 di novembre del 1995. Mi ricordo un po’ del periodo in cui l’ho scritto – anni decisamente distanti – e mi ricordo che scrivere su KULT allora, quando c’era ancora una redazione, voleva dire anche avere la possibilità di fare due chiacchiere su quanto si pubblicava, e, su questo testo, rammento qualche scambio con il mio amico Gianluca Meassi (che non sento da secoli in effetti). A lui, questo testo, era piaciuto. E a me – che cercavo senza riuscirci davvero di replicare la forza espressiva di alcuni racconti di un tipo che avevo avuto modo di leggere su una fanzine cartacea di Torino, e che, probabilmente, avevo da poco visto al 7bis La Haine L’Odio – beh, anche a me sembrava buono. E mi sembra ok pure ora, a distanza di due vite. Chissa.

In the evening
Sometimes a good move
is to face the morning sun,
some other times
is to lay down
till the night
‘cause you can’t tell
what’s going to happen
in the evening

11.22

La bocca mi sembra piena di merda. La testa mi sembra piena di merda. Il sole basso di ottobre passa debole tra le tapparelle rotte rivelando ancora di più la polvere e il casino presente nella stanza.
Il solito schifo, il mio letto che puzza di sudore, i muri pieni di umidità e qualche scarafaggio che gira per la cucina, tra il frigorifero vuoto e l’asse da stiro.
Prendo un paio di calze dal mucchio di fianco al letto, le annuso, e mi dico che per oggi possono ancora andare. Mi infilo i soliti jeans, poi gli anfibi militari (gli altri mi si sono aperti giovedì, quando sono corso fuori dal supermercato, e mi sono dovuto buttare nel canale), e vado in cucina a cercare una birra, o al peggio un po’ d’acqua, per togliermi questo gusto orribile dalla bocca. Max è ancora cotto duro, steso a pancia in giù sul divano, completamente vestito, e con una Ceres vuota tenuta stretta con la mano che sfiora il pavimento.
“Ehi” gli dico, ma la mia voce è poco più di un sussurro rauco. Gli tiro un calcio contro una gamba, lui bestemmia per un istante, e continua a dormire.
“Ehi” ripeto. Si, ok, adesso la mia voce assomiglia di più a qualcosa di umano. Gli prendo quel che resta della Ceres e me lo butto giù in gola. Puah, la birra calda sembra detersivo. Vado in bagno e mi getto un po’ d’acqua in faccia. Gli occhi sono rossi da far paura, e la lingua bianca come il latte. Piscio e tiro lo sciaquone.
Fuori intanto è giorno fatto, e dalla strada il rumore del traffico e della gente delle bancarelle inizia a diventare un tutt’uno disgustoso. Tra tutte le voci riconosco Baier, che come al solito sta litigando con suo cognato, e quella stridula della Rita che si lamenta per la spesa. Apro la finestra per prendere una boccata d’aria. E’ freddo, ma il sole c’è. Almeno quello.

Quando torno in cucina vedo che Max si è tirato a sedere e si tiene la testa tra le gambe, come se temesse che da un momento all’altro gli potesse esplodere.
“Hai del latte?”
“No.”
Sfilo una cartina dal pacchetto del tabacco, e comincio a farmi su una sigaretta. Le mani non è che rispondano al meglio, e mentre comincio a rollare sento le dita mandarmi dei crampi di protesta. Strappo un pezzo di un biglietto dell’autobus, lo arrotolo, lo infilo nella cartina, e poi chiudo il tutto.
“Che ore sono?”
“Che cazzo ne so.”
Max cerca di alzarsi, ma barcollando finisce contro una sedia facendola cadere.
“Ehi” faccio io.
“Crepa” fa lui.
Poi si mette in piedi e vaga lentamente in direzione del bagno.
Io accendo la paglia. Ogni tiro che faccio sento i polmoni che si riempiono di Drum, cercando di continuare a buttare dentro anche un po’ d’aria. E’ una sensazione strana, come se stessi soffoncando. Mi guardo intorno e non capisco. Rimango a fissare la paglia che brucia tra le dita per un tempo infinito, e poi la spengo sul tavolo e la caccio per terra.
Iniziano a suonare i Fugazi a tutto volume nella stanza di là, e piano piano tutto sembra riprendere un po’ di colore.

Ore 13.40

Il parco è quasi vuoto. Ci sono un paio di pulotti che pattugliano intorno al laghetto, e qualche vecchio che cerca di prendere l’ultimo sole di quest’anno. Non vedo Pero vicino al lampione, nè Tony vicino al chiosco. Meglio.
Max continua a saltellare come un deficiente con il walkman a palla nelle orecchie, canticchiando “ye ye” come se fosse la cosa più bella del mondo. Lui se ne è fatta un’altra di quelle rosse prima di uscire.
Io no.
Lo guardo un po’, con quel sorriso a mille, e gli occhi spiritati, e quasi viene da ridere anche a me. Poi vedo gli “amici” arrivare da dietro il palazzetto.
“Ciao”
“Hai i soldi?”
“Hai la roba?”
Mi guardo intorno e gli passo il pacco. Lui lo fa sparire nella tasca dell’impermeabile, e mi da una busta, che mi infilo sotto la camicia aperta.
“Alla prossima, Bianco.”
“Alla prossima”
Max è salito in piedi su una panchina e sta guardando il laghetto.
“Ehi, ci sono le papere. Oh, hai visto le papere? Ma da quand’è che ce le hanno riportate? Oh, dico, ma hai visto?”
Io mi riabbottono la camicia e mi chiudo sopra la giacca di jeans. I due pulotti (un uomo e una donna) stanno guardando Max sulla panchina.
Lo tiro giù.
“Sì, sì ho visto tutto quello che vuoi. Adesso andiamo da Maddalena.”
Una macchina di pattuglia, ci passa vicino. Dentro sono in tre, e la bionda è anche carina, se non fosse per la divisa. Uno dei due davanti ci osserva un po’ torvo, e poi dice qualcosa a quello che guida.
Inizio a camminare e Max mi viene dietro continuando a parlarmi delle oche e delle foglie degli alberi.
Ci fermiamo al chiosco a prendere due birre e un paio di hot dog.
Una tipa mora con una minigonna da starci male e una camicia bianca, praticamente aperta, si avvicina, abbracciata a un ragazzo con i capelli corti e un giaccone nero. Max le si fa incontro con un sorriso da mal di pancia e le dice qualcosa che non sento. Allora il tipo inizia a scaldarsi e ad insultare Max e Max comincia ad urlargli addosso.
Getto per terra l’hot dog e mi avvicino anch’io, iniziando a spingerlo. La mora si mette ad urlare, e il signor occhi verdi si gira verso di me cercando di tirarmi un pugno.
Anche il gestore del chiosco si mette a gridare, e chiama a gran voce i due di ronda lì vicino.
“Io ti ammazzo!” ghigna occhiverdi.
“Non mi toccare, bastardo, non mi devi toccare!”
Max è carico a mille e prende una pietra da terra per colpire il tipo con il giaccone scuro.
“Ehi voi basta! Fermi!”
Arrivano i due pulotti, e saltano addosso a Max, immobilizzandolo. La mora inizia a raccontare alla tipa in divisa quello che è successo, e io le urlo in faccia che è una troia e che non è vero un cazzo di quello che dice. Poi quando occhiverdi fa per protestare, gli tiro un pugno in faccia, e lo butto a terra.
Uno delle due guardie molla Max, e cerca di fermare me. Occhiverdi si alza e mi colpisce con un calcio.

Ore 14.36

Max sta ancora urlando. La “rossa” lo sta facendo sfrizionare e ha iniziato a prendere a calci e pugni le pareti.
Insieme a noi c’è occhiverdi, che perde sangue dal naso e che mi guarda come se mi volesse mangiare, un paio di prostitute negre, ed un portoricano dagli occhi piccoli piccoli, basso, e con un tatuaggio enorme sul collo.
Dall’altra parte Manu, la mora di occhiverdi, sta parlando con i tipi che ci hanno portato dentro pregandoli di lasciare uscire il suo uomo.
Io mi metto più comodo che posso a sedere contro la parete e aspetto.
Mi hanno trovato i soldi, e io gli ho detto che sono la pensione di mio nonno che ero andato a ritirare io perchè lui era raffreddato.
Loro hanno tenuto la busta, e mi hanno detto di chiamare allora mio nonno, perchè mi venga a prendere. E io gli ho detto di andare a farsi fottere e di darmi i soldi indietro, perchè erano miei e loro non avevano il diritto di menarsela.
Ho chiamato Mic, e lui mi ha detto di rimanere calmo perchè mi avrebbe mandato qualcuno lui.
Io sono calmo.
Max adesso ha cominciato ad insultare il portoricano con il tutuaggio sul collo, che gli aveva detto di piantarla con tutto questo casino.
Max e l’altro iniziano a darsi prima delle spinte poi passano ai pugni. Tre poliziotti entrano con dei manganelli e iniziano a colpire Max ed allontanare il tipo.
Io cerco di avvicinarmi ed uno di loro mi colpisce in faccia con una gomitata dicendomi di stare lontano.
Intanto il portoricano, che aveva iniziato a bestemmiare con quella sua lingua idiota, si è chinato e ha tirato fuori un coltello dagli stivali.
Manu allora si mette ad urlare, e i poliziotti si fanno indietro mollando Max, che all’improvviso si trova da solo, girato di schiena, a due passi dal tipo. Io gli urlo di scappare ma il tatuato lo colpisce prima che lui possa muoversi.
Approfittando di questo i tre in divisa gli saltano addosso e cominciano a massacrarlo di botte. Io mi avvicino a Max, steso per terra, che perde sangue dalla schiena e dalla bocca.
“DioDioDioDio…”
C’è un gran casino. Urlano tutti: la tipa perchè non c’ha i nervi, le prostitute perchè sono delle puttane, il portoricano perchè lo stanno picchiando, i pulotti perchè stanno sfogando su di lui la paura che si sono presi, e Max perchè sta sanguinando come un porco macellato.
Arrivano degli altri pulotti, che mi spingono contro la parete e mi allontanano dal mio amico. In quattro sollevano Max e lo portano via.
Max mi urla qualcosa. Urlo qualcosa anch’io, e il tipo davanti a me mi colpisce alle costole con il manganello.
Io gli sputo in faccia, e cerco di colpirlo con un pugno. Poi anche gli altri cominciano a darmi addosso, ed io finisco contro le sbarre.

Ore 17.58

Mic mi guarda storto, come per dire che con me farà i conti dopo. Tony intanto sta insultando l’addetto chiedendogli spiegazioni per come sono ridotto. Perdo sangue dal naso, ho un’occhio nero, e ho la giacca strappata in più punti. La testa mi scoppia.
Maddalena mi pulisce il viso con un fazzoletto, ma io la allontano.
“Non è niente. Fatevi ridare i miei soldi.”
Lei mi guarda senza sorridere. Non l’ho mai vista sorridere.
“Max dov’è?”
“Non lo so. Un tipo gli ha dato una coltellata e loro l’hanno portato via.”
Adesso la testa mi sembra una palla di cannone poco prima che accendano la miccia. Chiudo gli occhi, e questo mi fa male. Penso che non è la giornata giusta.
“Non potete fare questo!” E’ Tony ad urlare adesso. Dietro al bancone altri due agenti sono venuti a dare man forte al loro collega, spiegandogli che ero stato io ad assalire per primo uno dei loro, e che non mi avrebbero fatto andare via senza prima parlare con un mio tutore.
“Prendi questa.” Maddalena mi passa in mano una pastiglia bianca non più grande di un bottone.
“Ti aiuterà a farti sentire meno il dolore.”
“Grazie.”
Butto in gola la pillola e continuo a guardare la scena a pochi metri da me. L’ambiente è spoglio, pareti bianche senza quadri, giusto qualche sedia, un distributore di bibite e la grande scrivania vicino alla porta.
C’è un calendario di fronte a me, con la figura di un gruppo di pulotti davanti ad una scuola e la scritta “La cultura e l’ordine rendono gli uomini migliori”.
Inizio a sentirmi un po’ strano. La testa mi gira e sento le guancie rilassarsi. Le braccia vanno come per conto loro e non penso che le mie gambe riuscirebbero a reggermi in piedi.
Maddalena riprende a pulirmi il viso con il fazzoletto e io sorrido beato sentendo la sua mano passare sulla mia faccia. Poi si gira verso Mic e gli chiede a voce un po’ più bassa se non c’è un sistema per portarmi via da lì.
Mic borbotta un po’, e poi annuisce.
La scena comincia ad intorpidirsi, come se la stanza fosse piena di fumo. Tutti sembrano più magri e alti con delle teste immense. Poi inizio a pensare a tante cose strane, alla casa, alla Famiglia, a Max, a Doga, al vecchio del parco, e a me a me.

Domani compio sedici anni.

 

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