Uscito quattro anni prima di Oblivion, e costato duecento volte meno (“solo” 5 milioni di dollari), Moon (scritto e diretto da Duncan Jones) è un buon film di fantascienza, che omaggia in modo evidente i classici del genere (in primis 2001 – Odissea nello spazio). Con quasi un solo attore – Sam Rockwell – e un robot (che esprime emozioni più o meno tramite emoticons) Moon propone una storia consistente, e con un crescendo di ottimo livello, che non vuole (e di conseguenza non riesce) a essere mainstream. Se avete visto Oblivion, parecchio della trama vi sarà chiaro anzitempo (ma quello NON è chiaro un difetto del film…), ma anche senza il confronto con Tom Cruise e con gli effetti del film basato sulla graphic novel di Kosinski, il ritmo lento e claustrofobico di Moon, costruito intorno alle emozioni espresse dal viso un po’ folle di Sam Bell/Sam Rockwell limitano (a mio parere) il pubblico di questa perla ai soli appassionati del genere. Non necessariamente una cosa negativa, perché, consapevoli di questo, la regia e la produzione non hanno lesinato in richiami e in situazioni che (per i fan) sono tutt’altro che disprezzabili (le lucine colorate al posto di visori con un qualunque tipo di senso sono solo uno degli aspetti che non riuscirete a non notare). Ammetto, tra le poche cose realizzate fino ad ora da Duncan Jones, di avergli preferito Source Code – anche se l’operazione dietro a Moon (simile in qualche modo a quella di J.J. Abrams – che è riuscito a realizzare oggi un film anni 80 – realizzata però con budget da produzione indipendente) è assolutamente da applaudire.
Se le storie che oscillano tra horror e il thriller vi piace e state cercando qualcosa da leggere a tema, qualcosa di leggero però, che ricordi più un film che un romanzo, vi consiglio The Secret, scritto dal fondatore della Dark House Comics, Mike Richardson. Una trama semplice, ma efficace, che segue le vicende del giovane studente Tommy Morris, e della sparizione di Pam (la ragazza a cui va dietro) dopo che lei e i suoi amici fanno uno scherzo telefonico alla persona sbagliata. I dialoghi e la sceneggiatura reggono, il disegno è adeguato alla tipologia di storia, e non c’è quasi nulla di negativo da dire, se non che non ci si trova davanti ad un capolavoro, ma ad un compito ben fatto, realizzato ad arte da qualcuno che conosce il canone, ma che non ha voluto forzare nulla. Nel caso vi piaccia, sappiate che lo scorso anno è stato proposto anche come Motion Comics.
A più di un anno dal primo annuncio, SyFy Channel ci mostra finalmente il pilot di Rewind, pur non fornendo nessuna informazione sul fatto che possa poi diventare una serie attiva, al di là di questo primo momento di circa un paio d’ore. Il tema è quello (che adoro) del viaggio nel tempo, e le motivazioni che spingono la storia (almeno inizialmente) sono una bomba atomica fatta esplodere a New York da un vecchio professore che ha perduto anni prima la moglie. Il viaggio nel passato, per evitare quest’atto distruttivo, avviene grazie ad un “portale” che appare all’interno di un gigantesco macchinario segreto – portale inatteso, non compreso a pieno, e con la caratteristica di non potere essere comandato e di avere un tempo massimo di apertura – e vede in azione un team di tre persone (due militari e una civile) coordinati da una schiera di tecnici che rimangono in contatto con loro dal presente (!).
Se si accettano alcune peculiarità nella trama (ma i paradossi e le stranezze vanno accettate a scatola chiusa quando si parla di time travel) la storia funziona, alcuni personaggi sono particolarmente carismatici e interessanti (stiamo parlando di SyFy, quindi il ritmo e le battute sono all’ordine del giorno), e la previsione dei ripples temporali (delle modifiche al continuum, una volta compiuta una azione) tramite un supercomputer non è più forzata di tante altre cose che abbiamo visto in altre serie. Certo, forse il tutto ricorda varie cose, ma se Rewind dovesse partire sono convinto che la seguirei molto volentieri. Incrocio le dita.
Ah, qualche nota di colore: tra le guest star c’è David Cronenberg (sì, quel David Cronenberg) e tra i membri del team che c’è un fenomenale Jeff Fahey (il Lapidus di Lost) con cappellino sempre in testa, vinili che suonano Jazz, e caffé da tostare fresco per rendere al meglio.
Tratto dall’omonimo romanzo di Mohsin Hamid, e diretto dalla pluripremiata regista indiana Mira Nair, Il fondamentalista riluttante è un film interessante e ben costruito. Non è una spy story, né un thriller in senso stretto e, anche se ha come protagonista principale Riz Ahmed (che ho apprezzato nello splendido Four Lions), e vede in scena Kiefer “Bauer” Sutherland (in versione giacca cravatta e occhiali) e Liev Schreiber (di Ray Donovan, per intenderci), costruisce la narrazione con lentezza e cura, e propone pochi momenti d’azione, e solo funzionali alla storia. Storia che ci parla del pakistano Changez, del suo sogno americano che lo porterà da Lahore a Wall Street, con tanto di love story con la bella (ma complicata) Erica, e di come tutto cambierà per lui con l’11 settembre – quando l’america multietnica diventerà molto più ostile con i suoi concittadini (anche benestanti) d’aspetto arabo. E di come le cose non sono sempre come sembrano, e di come sia necessario, per il Pakistan, un “sogno pakistano”.
130 minuti di continui flashback, con tanta musica indiana (ma nessun balletto), tantissimi temi proposti, bravi attori e bella regia. Forse il finale (credo diverso dal libro) lascia un po’ perplessi (io almeno mi aspettavo qualcosa di più netto) ma complessivamente è difficile criticare questa pellicola se non, forse, per la lunghezza. Da vedere, se non vi aspettate (tenendo conto del titolo e degli attori) esplosioni e sparatorie.
Se non disdegnate immergervi in mondi da fiaba (senza che siano simultaneamente classificabili come fantasy), vi consiglio senza remore Ernest e Celestine, film d’animazione ispirato dagli album di Gabrielle Vincent, e sceneggiato da Daniel Pennac. Il disegno ad acquerello è caldo e magico, e sorregge una storia di diversità che si apprezzano, nonostante l’opinione dei più. In un mondo di orsi e topi, un mondo in cui gli orsi vivono sopra, e i topi sotto, uscendo dalle loro tante quasi solo per rubare i denti caduti ai piccoli d’orso, Celestine decide di non avere paura, e fa amicizia con Ernest, un orso che vive da solo, goloso e alternativo, con il quale andrà a vivere. Due anime libere, con doti d’artista, che si ritroveranno contro entrambe le società, fino all’inevitabile lieto fine. Va ammesso che Ernest (in italiano con la bella voce di Claudio Bisio) non si fa problemi a fare il ladro (per fame svuota una pasticceria… e questo mi lascia un attimo perplesso quando si accenna in tribunale ad una contrapposizione tra ricchi e poveri), ma al di là di qualche mio dubbio specifico, tutto rimane nei canoni della favola con morale, in un contesto complessivo gradevole, divertente, e davvero godibile.
Rughe, pluripremiata opera dello spagnolo Francisco José Martínez Roca (più noto ai più come Paco Roca) mi è stata regalata qualche giorno fa, per il mio compleanno, ed è una di quelle graphic novel che ti rimangono un po’ dentro. Delicata ma ruvida, proposta con disegni dal tratto europeo e con colori vividi ma opachi, Rughe segue le vicende di Emilio (ex direttore di banca) che, soffrendo di Alzheimer, viene portato dal figlio in una struttura per anziani. Lì il rapporto con altri ospiti, alcuni dei quali con la stessa malattia, renderà il suo progressivo peggioramento una sorta di viaggio verso il nulla, comico e struggente insieme, dipingendo la disperazione, che si percepisce ma quasi non si vede, con i toni caldi dell’amicizia e dell’affetto. Poetico e impeccabile, da consigliare senza nessun dubbio.
Se avete un dispositivo Android e vi è piaciuto Super Hexagon (o, perché no, anche il nostro Super Black Hole) e volete provare una bella variante – originale e “cattiva” (ovvero tutt’altro che facile) – mi permetto di consigliarvi Round² – bel progetto di tesi di Giordano Berselli, pubblicato sul PlayStore come OneLastTry Studios. Giordano Berselli, che ho avuto il piacere di avere tra gli studenti al mini corso sui videogiochi tenuto qualche mese fa a Modena, ha dato alla luce un gioco ben fatto, curato in tutti gli aspetti, con una meccanica semplice ma coinvolgente, che saprà tenervi incollati al vostro device per parecchio tempo. Il gioco è ancora in beta – ma se siete curiosi vi suggerisco di non aspettare a scaricarlo perché una volta terminato il periodo di fine tuning diventerà a pagamento. Ah, come sempre ricordatevi che un commento o qualche stellina sono il modo migliore per fare capire all’autore che il suo lavoro vi ha colpito (in un modo o nell’altro). I miei personali complimenti a Giordano, e in bocca al lupo per questo e per i suoi prossimi progetti.
Se non vi dispiace guardare film indipendenti, e il genere che sconfina tra la fantascienza e il thriller psicologico rientra nelle vostre corde, vi consiglio di dare una occhiata a “Sound of my Voice“, una realizzazione del 2011 scritta e diretta da Zal Batmanglij e Brit Marling che si è fatta apprezzare sia al Sundance Film Festival sia al SXSW Film Festival di quell’anno.
I protagonisti, Christopher Denham (visto in Argo) e Nicole Vicius, stanno cercando di fare un film documentario per esporre una strana setta segreta, che ruota intorno a Brit Marling (che ha spazio anche in The company you keep). Maggie (questo è l’alter ego nel film della Marling) dichiara di venire dal futuro e di stare selezionando un gruppo di persone per prepararle alle catastrofi che stanno per accadere, e vive nascosta in un luogo segreto a cui i seguaci vengono portati bendati, dopo un periodo di iniziazione esterno. I due sono riusciti ad infiltrarsi nel gruppo ma ora il contatto con la carismatica presunta time-traveller metterà in crisi le loro certezze, presentando allo spettatore un film lento ma ben strutturato, in cui l’aspetto psicologico e la tensione crescente sopperiscono senza problemi all’assoluta mancanza di effetti speciali.
Un finale non banale chiude bene una storia in cui comunque qualcosa lascia insoddisfatti – ma che fa ugualmente scattare l’applauso virtuale ai due sceneggiatori. Consigliato, se amate il genere.