Ammetto che non conoscevo Paco Roca (alias Francisco José Martínez Roca, spagnolo e quasi mio coetaneo) prima di leggere Le strade di sabbia (in Italia pubblicato da Prospero’s Books), ma quest’opera è così straordinaria che vedrò sicuramente di valutare altro delle sua produzione quanto prima. Belli il tratto e i colori, ancora meglio la definizione dei personaggi e le ambientazioni, e ancora meglio all’ennesima potenza, la storia e il ritmo. I dialoghi, e i tempi narrativi. Un caos di situazioni, un continuo richiamare altro, sottendere altro, collegare le cose e poi scollegarle. Uno stimolo continuo a cercare chiavi di lettura e spiegazioni, in una vicenda folle e poetica, intrisa di situazioni parzialmente note, tirate da una claustrofobia kafkiana in cui ci si rifanno però gli occhi in scorci e cartoline che fanno il verso a mondi lontani, mai visti.
Davvero bello nell’insieme tanto da sperarne l’improbabile trasposizione anche a cartone animato. Da volerlo rileggere per risentirne l’atmosfera. Da volerlo consigliare perché, davvero, merita.
Non possono mancare, tra i miei regali di Natale, anche dei fumetti. Quest’anno due meritano almeno una nota su questo blog, e il primo è della consueta Coconino Press: Quequette Blues, di Baru. Baru, di cui ho già recensito in passato Povere nullità, ha qui, in quest’opera proposta la prima volta nella prima metà degli anni ottanta, una forza espressiva davvero notevole. Un tratto “povero” ma molto intenso, per un romanzo di formazione da brivido, per un capodanno visto tramite gli occhi di un gruppo di ragazzi, alla ricerca di sesso, alcol e rock’n’roll. Autobiografico o meno che sia, il realismo delle scene e dei dialoghi è praticamente perfetto. Il passaggio all’età adulta (tramite l’iniziazione sessuale, desiderata quanto temuta) in un piccolo paesino vicino al confine, dove il futuro per tanti sembra la fabbrica – alla cui ombra si muovono disperazione e noncuranza – ricorda così tante altre cose, così tante storie sviluppate in paesi diversi, da fare capire che la gioventù che vuole essere anche solo un po’ ribelle, i desideri del piacere facile, la dannazione che ci arriva dal nostro pensare ad un futuro inevitabile ancor prima di capire se lo è davvero, sono archetipi, sono elementi così insiti in noi, che possiamo riconoscerli tanto nella scena di una fumosa e misera balera, quanto in quella di un qualunque altro luogo, avanti o indietro nel tempo.
Qui la storia è una non storia – come si diceva si parla di due tre giorni a cavallo di capodanno, passati quasi completamente senza dormire, girando da un locale all’altro, con una scommessa relativa al perdere la verginità, mentre dal dettaglio dei discorsi stupidi di un branco di ragazzi si deduce l’ambiente, la scena, l’atmosfera – ma in questo niente che capita si percepisce e si gode la vita raccontata, descritta, disegnata. Un capolavoro, da avere o almeno, assolutamente, da leggere.