Le sorgenti del Dumrak

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Forse non tutti lo sanno, ma mancano ormai pochissimi giorni alla presentazione del primo volume della trilogia fantasy Finisterra, realizzata dal collettivo XoMeGaP, e pubblicata dalla interessante casa editrice Edizioni Domino. Le sorgenti del Dumrak (questo è il titolo del primo libro) avrà tra l’altro la fortuna di esordire nel bel contesto di BUK Modena (fiera della piccola e media editoria della mia città), cosa che auguro loro porti la giusta visibilità a questo progetto, sul quale questi autori hanno investito molto tempo ed energie.

Non sto a svelarvi nulla sulla trama – ma vi anticipo che la narrazione procederà con cinque punti di vista differenti, ognuno seguito da un membro diverso di XoMeGaP, cosa che come è facile intuire consentirà uno sviluppo estremamente curato dei singoli background, e una ricerca stilistica approfondita, per dare una voce unica e originale ai vari personaggi in gioco.

Nel caso non li conosciate già, ricordo che le cinque penne in questione (Sara Bosi, Simone Covili, Massimiliano Prandini, Gabriele Sorrentino e Marcello Ventilari) non solo sono un gruppo particolarmente affiatato, ma hanno alle spalle già una buona esperienza “seria” avendo pubblicato (come collettivo o come singoli) parecchio in questi ultimi anni.

Ho tra l’altro avuto il piacere di lavorare direttamente con alcuni di loro per OpenBook (un progetto di romanzi collettivi seguito dal servizio Biblioteche, per il primo anno di BUK) e, dopo averli visti all’opera, ammetto di essere quindi particolarmente curioso di leggere la trilogia in questione, certo della cura dedicata ad essa.

Ah, una indiscrezione – di cui non troverete conferma altrove: c’era una mezza idea di realizzare una applicazione (nello specifico, un gioco alla Golden Axe) per promuovere l’opera – applicazione che avrei curato io – ma la cosa al momento è saltata. Da voci di corridoio sembra però ci sia la possibilità che presto esca un gioco di ruolo, o un boardgame, collegato al brand Finisterra. Vedremo se quello avrà più fortuna :-)

In ogni casi vi invito a passare per BUK e a fermarvi a parlare con loro. E se volete saperne di più potete comunque collegarvi al sito ufficiale, dove potrete trovare molte altre informazioni: www.xomegapfinisterra.blogspot.com

Touch

Lo ammetto, quando ho visto cosa era stato annunciato lo scorso anno, tra tutte le novità, tre erano le cose su cui avevo le aspettative più alte: Ringer (con la Michelle “Buffy” Gellar), Alcatraz (per via di J.J.Abrams) e Touch, dove avrei avuto modo di vedere di nuovo all’opera Kiefer Sutherland. Purtroppo, come è capitato con Ringer, vedere un personaggio d’azione in un ruolo molto differente è stato un po’ un trauma, ma se nel caso di Ringer ho patito un po’ anche per la nuova ambientazione – troppo simile inizialmente a Lying Game – e il nuovo personaggio (doppio, ma ugualmente “povero”), non posso dire lo stesso con Touch. Complice la mano di Tim Kring (Heroes) qui siamo in una situazione con intrecci di alto livello, e le premesse per qualcosa di notevole ci sono tutte (un bambino autistico sembra in grado di prevedere il futuro – non dico altro). E, tranquilli, “Bauer” non perde neppure un briciolo di fascino, neppure quando si fa stendere con un pugno da una persona qualunque, e grazie a quello sguardo deciso, ma sempre un po’ smarrito, che lo ha contraddistinto in 24, non sembra affatto fuori ruolo.

Ma, volendo però essere onesti, mentre in Ringer già dal primo episodio si intuiva che eravamo di fronte ad una storia complessa che ci sarebbe stata rivelata senza soste puntata dopo puntata, qui, con Touch, è almeno possibile che ci siano episodi con “casi”, come in un poliziesco, senza che si vada necessariamente da nessuna parte. E, cercando proprio il pelo nell’uovo, Touch potrebbe essere solo una versione un-milione-di-volte-meglio di Person of Interest, dove, al posto del computer che predice il futuro di sangue (di una persona alla volta) studiando le tracce digitali che lasciamo quotidianamente, qui c’è un bimbo autistico che predice il futuro (roseo?) di tanti, tramite un quaderno pieno di numeri, e qualcosa che sembra collegato con i cellulari.

Vedremo.

Al momento sono solo contento di sapere che c’è di nuovo modo di vedere Sutherland sul piccolo schermo – e sono fiducioso che il regista – che ha creato un universo impressionante con Heroes – possa rifare la magia e proporre qualcosa da ricordare.

Chimera

Realizzato da un altro autore italiano di tutto rispetto, tale Lorenzo Mattotti, classe ’54, famoso oltre che come fumettista anche come illustratore/designer, Chimera è una delle cose più oniriche che ho nella mia piccola biblioteca di letteratura a fumetti. Dato alle stampe in una bella edizione da Coconino Press (nel caso vi interessi, questa volta si parla di un regalo di un amico e non di mia moglie) questo volume, in bianco e nero, praticamente senza una sola parola di testo, stupisce per l’impatto emotivo che riesce a trasmettere con una tecnica di disegno “semplice” ma portata all’estremo. Le scene scivolano semplicemente via, tra una tavola e l’altra, con le linee che le compongono che si animano per dare forma e tono a ciò che vediamo (o che a tratti riusciamo solo a scorgere) permettendo una altalena di velocità, aggiungendo quasi l’audio al progredire che ci cattura. Un sogno che diventa un viaggio, o un incubo, che mostra immagini che sembrano uscire dalle angosce della nostra infanzia, o da un luogo comune, unico, da cui anche le fiabe sono nate. Un’opera importante e preziosa. Da avere, se apprezzate anche le cose un po’ al limite, o almeno da gustare in biblioteca se questo tipo di disegno, o il format della narrazione, non vi lascia tranquilli prima di una prova.

L’ultima tentazione

Ok, questa è proprio un’opera per appassionati. Firmata da Neil Gainman, basata su un soggetto di Alice Cooper (yes, proprio il cantante di Poison) collegato all’album omonimo, ed egregiamente disegnata da Michael Zulli, riesce comunque a risultare bella, ma non eccelsa. Bella perché il tratto è notevole, l’ambientazione è intrigante e i personaggi (in primis l’alter ego di Cooper – ) hanno l’aspetto e la voce che ti aspetti da loro. Non eccelsa perché la storia è quasi un classico – quindi entro un certo limite, scontata. Cioè, scontata per Gainman – intendiamoci. Scontato perché quella firma ti fa attendere qualcosa di più – anche da un presupposto come quello fornito: Steven, adolescente scontento della propria condizione, entra in contatto con l’imbornitore del Teatro del Reale, che gli offre una via di fuga dalla sua quotidianità – una possibilità di rimanere sempre giovane in un mondo alternativo. Magia e brividi in una storia in cui il finale è esattamente quello che si immagina se questo fosse un film. Bello, quindi, come un film anni 80. Ma, sì, forse non indimenticabile come invece quasi tutto il resto della produzione del grande Gainman.

La talpa

C’è un regista svedese (Tomas Alfredson, quello di Lasciami entrare) dietro alla nuova trasposizione de La talpa, noto romanzo di John Le Carré, questa volta condensato in un film per il cinema di poco più di due ore. Una trama complessa per una storia di spie seria e curata, resa ancora più imponente da un cast di grandi attori, ma, a mio parere, affogata da scelte di regia, comprensibili tenendo conto dell’obiettivo, che rendono però il tutto spesso lento e quasi sempre poco comprensibile. Non siamo davanti ad un film alla 007 – e questo ce lo aspettavamo – quindi il problema non è che i personaggi siano spie di mezza età, che non vivono per il gesto atletico ma per il sotterfugio, per l’inganno. Ma piuttosto che il gioco dei flashback, e i passaggi temporali, non siano quasi mai evidenziati in modo chiaro, e che le relazioni tra i vari personaggi si perdano in scene che trasmettono più il periodo storico (gli anni ’70) che il progredire della trama. Una storia densa, da rivedere, che sembra avere colpito molto positivamente la critica internazionale, ma che forse non è alla portata di tutti – neppure di chi come me è appassionato di questo tipo di ambientazioni, ma non ha probabilmente una cultura adeguata per collegare i puntini, durante la visione, alla velocità corretta per godersi l’opera.

Ottimo, come dicevamo, il cast, in cui si mettono in evidenza anche i più giovani, e splendide le ricostruzioni e la fotografia.

roboXcape

 

Piccolo aggiornamento: ok, dopo un po’ di ricerche in rete, il nome del gioco è passato da RoboLab (che è un trademark Lego) a roboXcape. E quella proposta potrebbe essere l’icona selezionata.

L’urlo dello studente

Più o meno un milione di anni fa (quando facevo le medie) insieme ad un mio amico gestivo quello che era un giornalino scolastico “non ufficiale”, dal titolo magari un po’ scontato de “L’Urlo dello Studente“. All’interno dello stesso, insieme a parecchi refusi, si potevano trovare brevi articoli, alcuni giochi enigmistici, qualche racconto (non sempre originalissimo) e pure dei fumetti – disegnati da me (come del resto la copertina).

Suppongo che in un mondo normale ci si limiterebbe a vergognarsi di nascosto di quanto fatto allora, buttando via le copie risparmiate dal tempo. Ma tenendo conto che siamo nell’epoca dei social media – e che vergognarsi di qualche disegno non proprio eccelso è ormai una cosa che non appartiene più al sentire comune – vedrò di proporre su queste pagine qualcosa di questa piccola produzione. Nel caso, improbabile, che a qualche curioso possa far riflettere il fatto che in tanti anni io non sia neppure riuscito a perdere i giornalini di allora :-)

Prime prove per l’icona…

…del gioco 3d che sto sviluppando insieme ad Andrea Capitani – ormai verso le battute finali – che uscirà come sempre sia per iPhone / iPad / iPod sia per dispositivi Android (cell e tablet).

Alcatraz

C’è anche la mano di J.J. Abrams dietro l’attesa nuova seria TV proposta dalla FOX, Alcatraz, e c’è anche Jorge Garcia (l’Hugo di Lost) tra i protagonisti principali. E se queste due cose, da sole, non vi sembrano un motivo abbastanza buono per dare almeno una occhiata, sappiate che le premesse per una storia con i fiocchi ci sono davvero tutte: un sacco di cattivi con uno scopo misterioso, salti nel tempo, una sezione segreta delle forze dell’ordine, un coppia di eroi bene assortita e una narrazione che procede su due piani (presente e passato).

Vi ho incuriosito? Beh, allora direi che vi posso svelare anche un po’ di background :-) : quando, nel 1963, il carcere di Alcatraz è stato chiuso non è accaduto per motivi di budget, e le persone presenti non sono esattamente state spostate sulla terra ferma. Semplicemente tutti i presenti sono scomparsi nel nulla – all’improvviso – senza un motivo comprensibile. E ora – intendo ai giorni nostri – i criminali spariti nel passato sembra che stiano iniziando a ricomparire, uno dopo l’altro. Non invecchiati di un solo giorno. E con più di un obiettivo in mente.

Vi ricorda qualcosa? Forse 4400? In effetti potete avere anche ragione, ma a dirla tutta la somiglianza è in realtà davvero ridotta. E comunque sia la base per quello che capiterà è intrigante e le cose che ci possono avere costruito sopra davvero moltissime. Se non ho capito male in realtà la maggior parte degli episodi saranno più di rintraccia e cattura che di sviluppo, come da prassi per la maggior parte dei serial in circolazione (anche Fringe o X-Files avevano la maggior parte delle puntate di “riempimento”). Ma la spina dorsale della narrazione dovrebbe comunque essere ben percepibile sempre, tenendo (si spera) altro l’interesse del pubblico, verso l’epicità che ci aspettiamo quando c’è di mezzo Abrams.

Che dire? L’inizio è promettente – e io ho sempre adorato Garcia. Ed è notevole vedere di nuovo in azione anche Sam Neill – dopo averlo apprezzato  nello splendido ma sfortunato Happy Town.

Sussi e Biribissi

Ero alle elementari quando ho letto per la prima volta questo libro, preso in prestito dalla biblioteca della scuola. Ne avevo un ricordo gradevole, ma vago, nel quale spiccavano giusto alcuni particolari (e alcuni termini, per me, bimbo, mai letti prima, come Zenith e Nadir, o Nosocomio) e quando sono riuscito a recuperarne gli estremi non me lo sono fatto sfuggire e l’ho acquistato.

Mi chiedo, a posteriori, se l’edizione che mi era finita tra le mani allora fosse identica a quella in commercio ora, o se fosse semplificata, perché, ad esempio, non ricordavo nulla dei tanti elementi regionali (Toscana) che infarciscono la narrazione. Ma immagino che sia in realtà un dubbio improprio, perché, sempre ad esempio, non avevo memoria neppure che questo racconto fosse opera di Collodi. Collodi, Nipote, però. Figlio del fratello di Carlo Lorenzini.

Comunque sia, la lettura da adulto delle vicende di Sussi e Biribissi (due ragazzini fiorentini che, colpiti dalla lettura di Viaggio al centro della terra di Verne, decidono di provare anche loro l’ebrezza del fare gli esploratori, ed entrano in una fogna) mi ha lasciato parzialmente insoddisfatto. Il tutto, chiariamoci, è assolutamente gradevole. E’ una storia per bambini, scritta ad inizio secolo, e non è per il gatto parlante (Buricchio) o per lo stile che si propone come da commedia, che sono rimasto un po’ deluso. Probabilmente nella mia memoria questa vicenda si era sedimentata diventando eroica, quando eroica, a dire il vero non è. E forse ora fatico ad accettare alcuni passaggi – che invece erano probabilmente perfetti nel periodo in cui l’autore li ha scritti, e neutri quando li ho gustati la primissima volta.

Il libro rimane comunque da consigliare, se si supera il piccolo scoglio della forma, anche solo perché fornisce più di un quadretto sociale dell’epoca che fa sorridere e riflettere (l’autore fa dire ad uno dei personaggi che è meglio non avere soldi, piuttosto che averne un po’, perché tanto poi arriva il Fisco e si mangia tutto…). Ma se nel libro cercate quelle avventure che anche la copertina promette, sappiate che potreste trovarne un po’ meno, e  diverse, da quanto siamo soliti apprezzare al giorno d’oggi.

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