Prince of Persia – Le sabbie del tempo

Tra le tante (forse troppe) opere cinematografiche che derivano da videogiochi ce n’è almeno una (uscita nelle sale nel 2010) che è stata in grado di ottenere un buon successo di pubblico senza tradire troppo l’ambientazione su cui è stato ricavata. Questo film, diretto da Mike Newell (regista anche di Harry Potter e il Calice di Fuoco) ha una storia indipendente dall’omonimo episodio della saga di Prince of Persia (videogame), ma riesce ad agganciarsi comunque a vari punti della trama “originale” e a veicolare (grazie alle scelte di ripresa, e alla plasticità dei tanti salti e combattimenti di DastanJake Gyllenhaal) il feeling da joypad a tal punto che spesso, durante la visione, si ha quasi un tic nervoso col pollice alla ricerca del pulsante “salta”.

Anche in questo film le riprese d’ambientazione – soprattutto della città di Alamut – sono mozzafiato, e la cura nei combattimenti e negli effetti speciali fornisce allle scene d’azione quella frenesia ormai consolidata che ci si aspetta da un prodotto di questo genere.

Gli attori sono poi tutti molto nel ruolo. Sia il protagonista (che non solo si è distinto anche nel recente SourceCode ma che si è fatto sicuramente amare come Donnie in Donnie Darko), sia la bella principessa di Alamut (Gemma Arterton – Fields in Quantum of Solace) sia, infine, l’ottimo Ben Kingsley, qui con un ruolo non proprio Ghandiano.

Bello, anche se forse un po’ prevedibile il finale, ma probabilmente migliori vari altri momenti durante lo svolgimento della storia, nonostante l’altalenante ruolo dei fratelli e la parte più “comica” che, a mio parere, ricorda qualcosa di Guerre Stellari.

Se non avete avuto modo (magari anche per scelta) di vederlo sul grande schermo quando è uscito, la visione in DVD o BluRay – in questo momento di feste – può regalare un paio d’ore di relax senza lasciare in bocca nessuno di quei fastidiosi mugugni che spesso sono inevitabili dopo qualche film del genere, quando non così curati o quando qualcosa, nell’alchimia che devono avere tutti gli aspetti di queste produzioni, è stato semplicemente preferito al resto.

Sherlock Holmes – Gioco di ombre

A circa due anni dal primo dei nuovi film su Sherlock Holmes (realizzati con l’ottima regia del di nuovo apprezzato ex-marito di Madonna, Guy Ritchie) ecco che sbanca i botteghini di Natale Gioco di ombre, godibilissimo film d’azione, ispirato molto alla lontana a L’ultima avventura by Arthur Conan Doyle. Robert Downey Junior e Jude Law, entrambi in ottima forma, si muovono in lungo e in largo in una Europa prossima alla guerra, cercando di fermare i piani del machiavellico Professor Moriarty (Jared Harris), aiutati dalla bella zingara Simza (interpretata dalla stessa attrice – Noomi Rapace – che ha reso indimenticabile la trilogia Millenium – almeno nella versione NON americana). Come nel primo film una nota speciale va alla fotografia (le ricostruzioni d’epoca di Londra e Parigi sono spettacolari) ma ancora di più rispetto alla prima prova il gradevole mix tra azione ironia e aspetti investigativi riesce a tenere alto il livello di attenzione dello spettatore, facendo scivolare via le più di due ore di narrazione visiva senza mai un momento sotto tono. Buoni gli effetti speciali, studiata la sceneggiatura, azzeccate le battute. Chiaro, qui abbiamo uno Sherlock Holmes che fa in qualche modo il verso (quasi) a Mission Impossible e le scene di combattimento (esaltate da sapienti momenti di movimento non lineare – in bullet time) magari non piaceranno agli amanti di versioni più classiche – ma contrariamente ad altre rielaborazioni (come ad esempio quella a Serial – prodotta dalla BBC – comunque di assoluto pregio) non possiamo neppure dire che siano state prese decisioni troppo estreme, che allontanino cioè questo Sherlock da quello originale al di là di quanto accettabile per un adattamento, moderno, di un classico senza tempo.

Soldi spesi bene, a mio personale parere, quelli per il biglietto del cinema per questo film, a patto ovviamente, che vi piaccia anche solo un po’ il genere, e che siate soliti (sul grande schermo) accettare qualcosa di apprezzabile, ma chiaramente d’intrattenimento.

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